05 febbraio 2009

Repubblica Socialista Sovietica Italiana

La terribile crisi economica attuale sta facendo danni gravi in tutto il globo, ma rischia di distruggere definitivamente la fragile economia pseudo-capitalistica italiana che, grazie anche all'operato del governo di "destra" di Berlusconi, sta andando verso una deriva statalista, corporativista, protezionista e mercantilista.
La crisi economica è infatti congiunturale in molti paesi che fino al 2008 stavano sviluppando il PIL in maniera da noi sconosciuta fin dagli anni '70 del secolo scorso.
L'Italia è da tempo il fanalino di coda europeo in quasi tutti gli indici economici, dallo sviluppo, alla competitività fino al debito pubblico, superata anche da paesi storicamente sottosviluppati, almeno secondo gli standard europei, come Grecia, Spagna ed Irlanda.
Analizzando l'apparato economico italiano, non si può fare a meno di individuare i grandi mali che limitano la prosperità economica del nostro paese:
  1. La presenza ingombrante di uno Stato pachidermico che controlla direttamente od indirettamente quasi il 50% del PIL.
  2. Una oligarchia pseudo-capitalistica che ha messo la sua lunga mano non solo sui settori produttivi, ma anche sulla politica, sull'informazione e soprattutto sulle banche, creando un circolo vizioso di ardua soluzione.
  3. La presenza di un Sindacato capace solamente di fare battaglie di retroguardia, senza mai trovare soluzioni innovative che permettano la tutela dei lavoratori e la contemporanea crescita economica.

Questo sistema oligarchico-comunista ha di fatto tarpato le ali al libero mercato ed alla concorrenza, minando alle fondamenta la possibilità di essere competitivi in una economia globalizzata.

Purtroppo l'Italia deve sopportare l'eredità di un modello di sviluppo completamente sballato di matrice catto-comunista che ha trovato il suo apice nella politica socialista di Bettino Craxi.

In pratica l'economia veniva drogata dal trittico "svalutazione-debito pubblico-aiuti di Stato" con la conseguenza che, fino all'introduzione dell'Euro, le imprese italiane non hanno mai agito in un regime di libero mercato e di vera concorrenza.

  • L'economia è in crisi? Svalutiamo la Lira per incentivare le esportazioni e per rendere meno competitivi i prodotti di importazione!
  • C'è disoccupazione? Lo Stato assuma indiscriminatamente una gran massa di gente anche senza reale necessità. Chi non ha un parente ferroviere o dipendente comunale, regionale o in qualche ministero? La solita soluzione miope che guarda all'oggi, ma che ha messo sulle spalle delle future generazioni un debito pubblico di dimensioni imbarazzanti.
  • Le aziende licenziano? Diamo degli aiuti di Stato e socializziamo le perdite nei momenti di crisi, liberalizzando i profitti nei periodi in cui la congiuntura economica è favorevole. Il paradigma di questo sistema è senza dubbio la FIAT, che negli ultimi 60 anni avrà prodotto degli utili in non più di 10 bilanci, al contrario di aziende come la Toyota, la quale nel 2008 ha prodotto il suo primo bilancio in perdita in 70 anni.

Questo è il passato economico che ci ha portato ad avere il debito pubblico più alto d'Europa (in proporzione al PIL) insieme ad un livello di tassazione che deprime lo sviluppo e crea, grazie all'incompetenza o alla collusione dei vari governi, un fenomeno di evasione fiscale di devastante portata.

Ma veniamo alla crisi del 2009. Mentre altri paesi si possono permettere di proporre politiche neo-keynesiane di spesa pubblica anti-ciclica, l'Italia non può assolutamente farlo a causa dei suoi mali strutturali, ma, al contrario, dovrebbe cercare di realizzare quelle riforme sistemiche che la rendano finalmente competitiva.

Purtroppo nella Repubblica Socialista Sovietica Italiana, guidata dal compagno Berlusconi, non si riesce proprio ad andare nella direzione auspicata delle riforme liberali, ma si attuano le solite e collaudate politiche stataliste che, nella situazione odierna, potrebbero affossare definitivamente l'economia del nostro paese.

Aiuti di Stato all'economia, spesa pubblica, creazione di altri monopoli (il caso Alitalia è emblematico) sono i soliti palliativi congiunturali che non daranno altri risultati se non quello di aumentare il debito pubblico e la tassazione.

Bisogna preoccuparsi di un debito pubblico che ha abbondantemente superato il 110% del PIL e, con il calo dei tassi di interesse, rischia di vedere deserte le prossime aste dei Titoli di Stato?

Certamente è più semplice e popolare dare aiuti pubblici (cioè soldi dei contribuenti) a pioggia invece di intraprendere la strada delle riforme che rendano lo Stato più efficiente e meno costoso e che introducano una vera concorrenza in tutti i settori privati, eliminando le barricate corporative insite nella nostra storia fascio-comunista.

Per fare un esempio concreto, la eliminazione delle province, secondo le stime dell'Eurispes, comporterebbe un risparmio strutturale di quasi 11 miliardi di Euro annui, che potrebbero essere usati per ridurre il Debito Pubblico negli anni di congiuntura economica favorevole, mentre potrebbero essere devoluti per gli ammortizzatori sociali negli anni di crisi, invece di essere sprecati nell'inutile carrozzone pubblico.

I compagni comunisti, da Bertinotti a Berlusconi, dovrebbero capire che se non si fanno finalmente delle riforme genuinamente liberali, non si creerà mai un sistema competitivo, ma si rischia di portare l'Italia al collasso.

Questo non significa eliminare lo Stato Sociale, ma solamente renderlo più efficiente e meno costoso affinché si possa abbassare la pressione fiscale, soprattutto sul lavoro dipendente, liberando preziose risorse per i consumi delle famiglie e per gli investimenti delle imprese soprattutto in ricerca ed innovazione tecnologica.

Ovviamente anche il settore privato avrebbe bisogno di serie regole anti-trust ed a favore della concorrenza.

Come si fa a tollerare delle aziende come Telecom Italia, che operano in regime di monopolio e che scaricano sugli utenti la loro inefficienza in termini di arretratezza tecnologica e di costi spropositati?

Come si fa a tollerare che delle tutele corporativistiche permettano la persistenza di servizi scadenti a prezzi esorbitanti?

E' oggi il momento per fare delle riforme coraggiose che trasformino la Repubblica Socialista Sovietica Italiana in uno stato veramente liberale. Il dubbio sta nel fatto che il Compagno Berlusconi, con il suo narcisismo e la sua maniacale attenzione alla "popolarità", sia adeguato ad intraprendere delle riforme impopolari almeno nel breve termine.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Come non darti ragione per quello che hai scritto! Il problema è però anche del sistema industriale Italiano, dove su circa 1042000 imprese solo 550 sono grandi imprese e molte di queste statali o semistatali. Le piccole medie imprese sono a proprietà familiare, chiuse alla borsa e alle innovazioni finanziarie, scarsamente capitalizzate, e soprattutto innovano pochissimo, perchè per troppo tempo sono state abituate alle svalutazioni competitive, che Berlusconi tempo fà in un intervista pretendeva ancora di poter fare con l'euro. E intanto Tremonti stà ancora scappando dal giornalista americano....