22 febbraio 2008

Il programma del Partito Democratico.

So che non è una notizia freschissima, ma i 12 punti programmatici, elencati da Veltroni nel suo ultimo discorso, meritano una analisi.
In primis il candidato premier del PD ha indicato le tre linee guida (le ha definite "stelle polari") che guideranno l'operato del suo prossimo governo (si spera): più crescita, più uguaglianza, più libertà.
L'ordine in cui sono indicate non è casuale perchè, se non c'è crescita, è difficile operare redistribuzioni di reddito e comunque è necessario dare più libertà, soprattutto economica (vedi articolo "Liberalizzazione Economiche e Sviluppo") al paese.
L'obbiettivo più importante per ottenere i suddetti risultati è la diminuzione generalizzata e graduale della pressione fiscale, ma Veltroni ha parlato anche di salari minimi per i precari, doti fiscali per i figli, asili nido e un grande piano per gli affitti, senza scordare temi come le infrastrutture, la giustizia e la sicurezza.
Il programma dell'ex sindaco di Roma è apprezzabile in generale, anche se alcuni punti mi convincono poco.
Ma andiamo ad analizzare singolarmente le proposte:
  1. Infrastrutture ed Energia: Finalmente un programma di governo che mette in primo piano il problema più grande dell'Italia, ovvero la politica energetica! I precendti governi avevano bellamente ignorato questo aspetto, posticpando le soluzioni tanto che era bastata la caduta di un albero in Svizzera a fare andare in black-out tutto il paese o una crisi tra Russia ed Ucraina a farci andare nel panico, con il ministro Pisanu che stabilì in 19 gradi la temperatura massima di riscaldamento di case ed uffici (cadendo veramente nel ridicolo). Oggi Veltroni sembra avere individuato il vero problema: l'Italia è troppo dipendente dal petrolio! Il nostro paese è talmente legato all'oro nero che un aumento del 10% del prezzo del barile di greggio, fa aumentare il tasso di inflazione del 15%, mentre in paesi come la Francia, in cui la maggior parte dell'energia è ottenuta con le centrali atomiche, lo stesso aumento del greggio fa aumentare l'inflazione solo del 3%. Se il problema sembra individuato, le soluzioni lasciano ancora a desiderare. Si parla di energie rinnovabili, che sembrano la panacea di tutti i mali, ma che non possono, da sole, sostituire il petrolio, mentre l'energia atomica non è neanche nominata. Per quello che riguarda le infrastrutture il PD propone senza remore la cotruzione dei termovalorizzatori, dei rigassificatori e della TAV, considerata una infrastruttura indispensabile per lo sviluppo del paese. Basta anche alla sindrome di NIMBY (not in my back yard, non nel mio giardino), ovvero basta con la politica che cavalca ogni protesta, ma sì alla politica che decide. Sarebbe indubbiamente un bel passo in avanti per il nostro paese!
  2. Mezzogiorno: purtroppo nel 2008 siamo ancora costretti a parlare di politiche per il Mezzogiorno, dopo che in quasi 150 anni di unità dell'Italia non si sono ancora riusciti a combattere i problemi endemici di quest parte rilevante del paese. Veltroni afferma che il Sud vive grazie ai finanziamenti di Bruxelles, che spesso sono usati male e finiscono ad ingrassare le tasche di politici loschi e di mafiosi. Il segretario del PD sostiene che bisogna cambiare marcia, ma dovrebbe spiegarlo anche a membri importanti del suo partito come Bassolino! Sarebbe ora di incominciare a legare le erogazioni di denaro pubblico ai risultati realmente conseguiti, invece di continuare con lo spargimento a pioggia senza responsabilizzare minimamente i dirigenti locali. Solo in questo modo si potranno eviatare i fenomeni di corruzione ed illegalità che paralizzano lo sviluppo del Sud. Combattere le mafie significa in primo luogo spezzare i loro legami con gli apparati statali che rappresentano la prima fonte di guadagno della criminalità organizzata. Peccato dunque che Veltroni non parli di un vero "federalismo fiscale", che sarebbe auspicabile proprio per questo fine (più responsabilità degli amministratori =meno soldi alla malavita = più soldi per i bisogni della gente= meno spesa statale).
  3. Spesa Pubblica: lo slogan è "spendere meglio, spendere meno". Come tutti gli italiani hanno capito, la vera palla al piede del nostro paese è il debito pubblico. Ogni anno lo Stato paga 70 miliardi di Euro per gli interessi sul debito, togliendo risorse per il welfare e per tutte le altre spese. Per ridurre il debito è però necessario ridurre la spesa corrente dello Stato che in Italia arriva al 48% del PIL. Ridurre la spesa è quindi fondamentale ed improrogabile; Veltroni dice di poterlo fare in maniera graduale, mezzo punto di PIL nel primo anno di governo, un punto negli anni successivi. L'obbiettivo è giusto, ma ci dovrebbero spiegare dove si vuole tagliare per apparire più credibili.
  4. Riduzione delle Tasse: "Meno Tasse per Tutti" è stato l'inno di Berlusconi nelle ultime 4 campagne elettorali; oggi diventa anche uno slogan del Partito Democratico. In fondo il governo Prodi ha portato avanti il risanamento dei conti pubblici e con il suddetto taglio della spesa pubblica, ci dovrebbe essere lo spazio per ridurre le aliquote a tutti i contribuenti. Veltroni afferma di voler ridurre le imposte a famiglie, imprese e lavoratori, ma bisognerebbe ricordargli che qualcuno ha già avuto dei regali fiscali (la riduzione del cuneo fiscale è andata a solo vantaggio delle imprese), mentre le tasse sul lavoro sono ancora altissime. Se è vero che i salari italiani sono i più bassi d'Europa e che c'è un grosso problema di domanda interna, sarebbe meglio incominciare a detassare proprio i lavoratori dipendenti ed i redditi più bassi! Il PD propone di detassare il salario di produttività (ovvero i secondi livelli di contrattazione), ma sarebbe lecito attendersi delle diminuzioni anche per coloro che non hanno i contratti integrativi!
  5. Donne: bisogna investire sul "lavoro femminile". La parola d'ordine è giusta, ma come per il Mezzogiorno, il lavoro femminile ha fatto ben pochi progressi negli ultimi decenni. La disoccupazione femminile è molto alta ed i salari sono ben minori di quelli degli uomini. Veltroni propone un "credito d'imposta rosa" per le donne che lavorano e la via libera ai "congedi parentali" al 100% per 12 mesi. Misure che onestamente mi lasciano un po' perplesso. Idee chiare invece sulla legge 194 che viene definita "una buona legge che va difesa".
  6. Casa: Veltroni affronta il problema casa in modo un po' atipico; mentre tutti auspicano un abbattimento dell'ICI sulla prima casa o degli aiuti sui mutui, il segretario del PD non ne fa riferimento, ma si focalizza maggiormente sulla questione degli affitti, proponendo un piano di "social housing", per aumentare il numero di alloggi disponibili alla locazione e sgravi fiscali fino a 250 Euro mensili per chi paga l'affitto. Anche questo punto del programma mi convince solo in parte: bene il sostegno all'affitto, ma mi sembra molto logica anche la proposta di Tremonti che lega gli sgravi fiscali, concessi alle banche nella finanziaria 2007, con la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile che stanno strangolando migliaia di famiglie!
  7. Bambini: Veltroni propone delle misure che incentivino la natalità: in primis un bonus bebè di 2500 Euro annui (fino ad età da definire) e l'aumento del numero di asili nido. Io vado controcorrente e penso che questa dell'incentivo alla natalità sia solo uno spreco di denaro. Intanto non si capisce perché sia utile aumentare la natalità: ci sono paesi che adottano misure di controllo delle nascite e noi, che abbiamo già una densità abitativa di 187 abitanti per Km2 (la Cina ne ha appena 121), tra le più alte dei paesi industrializzati, vogliamo aumentare le nascite? Io penso che una popolazione di 57-58 milioni di abitanti sia adeguata ad un paese piccolo come il nostro. Inoltre se l'obbiettivo prioritario è ridurre la spesa pubblica, queste misure sono solo controproducenti. Il vero incentivo alla natalità sarebbe l'aumento dei redditi e del potere d'acquisto dei salari, non queste iniziative populistiche e di facciata!
  8. Scuola ed Università: l'obbiettivo è creare 100 campus entro il 2010 e test periodici per valutare il grado di conoscenze degli studenti. Tutto questo per favorire e premiare finalmente il merito. Speriamo.
  9. Lotta alla Precarietà: introduzione del salario minimo di 1000 euro per i precari e percorsi per rendere stabile il lavoro, anche attraverso incentivi alle imprese. Io penso che il salario minimo vada contro le leggi di mercato e sia un' altra proposta populistica. Penso che sia più saggio equiparare la posizione contributiva dei precari e incentivare l'assunzione a tempo indeterminato, mentre l'introduzione del salario minimo non avrebbe altro risultato che far tornare in nero molti lavori che oggi sono comunque tutelati legalmente anche se malpagati.
  10. Sicurezza e Giustizia: Veltroni afferma che la sicurezza è il primo diritto di ciascun cittadino e sicurezza dipende anche dalla "certezza della pena". Bisognerebbe ricordarselo anche quando si fanno leggi come quella dell'indulto, che mina proprio il fondamento di questa certezza. La presenza del partito di Di Pietro ci potrebbe rinfrancare da questo punto di vista e ci fa sperare che il prossimo ministro della Giustizia, chiunque esso sia, non segua le orme di Clemente Mastella. Il vero problema della giustizia italiana è quello della durata dei processi sia civili, sia penali. La Corte di Giustizia europea ci ha più volte condannati proprio per questo motivo e penso sia improrogabile una riforma del processo stesso. I gradi di giudizio dovrebbero essere al massimo due (I grado e Appello) e la Corte di Cassazione dovrebbe essere chiamata in causa solo in situazioni che hanno valore per la giurisprudenza. Speriamo in una qualche esplicita apertura anche su questo tema.
  11. Legalità: Il PD chiede trasparenza per le nomine e nega le candidature di chi sia stato condannato, anche solo in I grado, per reati gravi. Resta da vedere quali siano i "reati gravi" e se tra questi vi siano anche la corruzione, la concussione et similia.
  12. Riforma delle TV: la ricetta del PD è duplice. Da una parte si vuole abbattere il duopolio RAI-Mediaset, dall'altro si vuole riformare il servizio pubblico per renderlo meno asservito alla politica. Queste riforme sarebbero giuste e sacrosante, ma vengono proposte da così tanti anni che si ha molta fatica a credere che siano fattibili. Anche qui bisogna sperare, ma più per fede che per convinzione.

In definitiva le linee programmatiche proposte da Veltroni mi convincono abbastanza, anche se sono infarcite da un certo tasso di populismo, forse necessario in campagna elettorale.

Veltroni dice che cambiare l'Italia è possibile, io gli do fiducia perché ritengo che un governo di centro sinistra, senza i comunisti e gli anti-modernisti, sia l'unico in grado di riformare il nostro paese senza creare tensioni sociali insopportabili.

13 febbraio 2008

La Moda delle Moratorie

Dopo la vittoria italiana alle Nazioni Unite per la moratoria sulla pena di morte è esplosa una vera propria moda, tanto che tutti vogliono fare una moratoria su qualcosa.

Il primo è stato Giuliano Ferrara, il quale ha proposto la moratoria sull'aborto, collegandola, tramite chissà quale filo logico, proprio a quella sulla pena di morte.

In pratica la proposta di Ferrara prevede che chiunque debba abortire per qualsiasi motivo, non possa farlo, perché il ciccione barbone ha sancito che abortire è disumano, mentre la vita della donna può essere sacrificabile.

Bella iniziativa, non c'è che dire!

Adesso ci si mette pure la Chiesa Cattolica, la quale, dopo aver morbosamente assistito all'ultimo film interpretato da Nanni Moretti, ha stabilito che le scene di sesso nei film sono immorali e che dunque gli attori debbono fare "obiezione di coscienza" e rifiutarsi di girarle!

Si prefigura quindi una moratoria delle "scene di sesso" nel cinema mondiale.

Il primo aderente a questa moratoria è stato Rocco Siffredi che ha commentato: "il Papa ha ragione, mi ero stancato a fare sesso davanti a tutti!"

Ecco un elenco delle prossime moratorie in calendario:
  • Rosy Bindi ha proposto una moratoria sul divorzio, perché tanto a lei non interessa visto che non è sposata.
  • Don Giovanni ha invece dichiarato di voler fare una moratoria sull'uso del preservativo; lui preferisce fare sesso al naturale.
  • Pecorario Scanio porta avanti una moratoria sul mais transgenico, anzi, dato che c'è, una moratoria anche sul mais naturale. Che ci frega, mangiamo il pane invece della polenta!
  • Berlusconi auspica una moratoria sull'UDC.
  • Veltroni una moratoria dei comunisti.
  • l'onorevole Mele propone di fare una moratoria sulle leggi contro droga e prostituzione, ma solo se i reati sono commessi contemporaneamente a casa sua.
  • Montezemolo propone di mettere una moratoria sui sindacati, mentre i sindacati vogliono una moratoria sul lavoro (meno lavoro, più tempo libero!), ma senza riduzioni salariali.
  • Bassolino propone una moratoria sulla monnezza, mentre Cuffaro vorrebbe la moratoria sul pool antimafia di Palermo.
  • Totti propone una moratoria sui furti dell'Inter, mente Mancini vorrebbe la moratoria sui pareggi e le sconfitte della sua squadra (sono talmente forti che possono solo vincere!).

Se c'è rimasto qualcuno che non vuole proporre una moratoria, alzi la mano, lo aiuteremo a trovare qualche motivo per indirne una!

Io propongo una moratoria delle moratorie!!!

Obama e McCain Conquistano il Potomac


Le primarie del Potomac hanno dato finalmente segnali chiari nelle corse alle nomination democratica e repubblicana.



Tra i democratici Obama ha fatto cappotto vincendo nei tre stati in esame (Maryland, District of Columbia e Virginia) con margini abissali, mettendo in vera apprensione la sua rivale Hillary Clinton.
In Maryland, lo stato di Baltimora, Barack ha vinto con il 60% delle preferenze contro il 37% della sua rivale.
In Virginia ha ottenuto il 64% dei voti, mentre Hillary si è fermata al 35%.
Nella capitale federale, Washington, il senatore nero dell'Illinois ha letteralmente trionfato ricevendo tre quarti dei voti (75%) e distanziando la signora Clinton di ben 51 punti percentuali (24%).
Dei distacchi così pesanti ed il fatto che, dopo il super tuesday del 5 febbraio, Obama abbia vinto in tutti gli stati in cui si è votato, fa capire chiaramente che il trend gli è assolutamente favorevole, mentre la sua rivale deve inventarsi qualcosa per invertire la marea.
Già dopo il voto in Maine, la Clinton aveva licenziato la responsabile della sua campagna elettorale, Patty Solis Doyle, affidandosi ad una sua collaboratrice di vecchia data Maggie Williams.
La mossa della Clinton evidenziava la consapevolezza di essere in difficoltà e la volontà di cambiare registro alla sua campagna elettorale.
Il cambio di rotta potrebbe però essere tardivo, poiché la marea nera di Obama sta letteralmente travolgendo tutti gli stati in cui si vota ed ormai Barack è in testa anche nel conteggio dei delegati alla convention democratica di Denver.
I dati della CBS danno 1242 delegati ad Obama contro i 1175 di Hillary.
Decisivo, almeno per le tendenze, sarà il voto del 4 marzo in stati grandi ed importanti come Ohio e Texas.
L'ex first-lady ha dunque tre settimane di tempo per tirare qualche coniglio fuori dal cilindro e nei suddetti stati la sfida sembra molto aperta.
Soprattutto il Texas la vede favorita in quanto la comunità ispanica, che vota per lei, è molto importante e lo stato è uno dei più conservatori d'America.
Se Hillary riuscisse a frenare la striscia di vittorie di Obama potrebbe impedirgli di ottenere il numero di delegati necessari per assicurarsi la vittoria (2025), confidando nell'appoggio dei notabili del partito e dei super-delegati, per ottenere la nomination democratica alla corsa presidenaziale.

Tra i repubblicani, la vittoria di McCain sembra invece scontata dopo il trionfo del senatore dell'Arizona sul Potomac.
Nelle ultime settimane le vittorie del suo sfidante, Huckabee, avevano fatto scricchiolare le certezze di McCain e la sfiducia in lui di gran parte del partito repubblicano, soprattutto l'ala destra cristiana e ultra-conservatrice, sembrava prefigurare un serrato testa a testa nei rimanenti stati.
Invece il successo di McCain in Maryland, Virginia e nella capitale Washington hanno sedato ogni dubbio, tanto che all'eroe del Viet Nam mancano veramente pochi delegati per raggiungere la sicurezza del successo alla convention repubblicana.
McCain ha già racimolato ben 790 delegati sui 1191 necessari alla nomination mentre il suo rivale Huckabee è fermo a quota 199.
Nel campo del Grand Old Party la corsa sembra essere veramente finita.

12 febbraio 2008

Liberalizzazione Economica e Sviluppo.

Recentemente ha suscitato molto scalpore l'uscita di uno studio della Heritage Foundation sulla libertà economica nei vari paesi del mondo.

Dallo studio emerge una vera e propria classifica delle nazioni stilata in base all'"Indice di Libertà Economica" che tiene conto di vari parametri oggettivamente confrontabili.

La cosa che ha sorpreso e sconcertato molti (ingenui) è il fatto che l'Italia sia solo in 64esima posizione su 163 nazioni prese in considerazione; 29esima su 41 in Europa e dietro a stati come la Mongolia (63esima), l'Uganda (52), Israele (46), Corea del Sud (41).

Effettivamente non c'è assolutamente nulla di sorprendente nella posizione dell'Italia, visto che nel nostro paese la libertà economica è ai minimi termini:
  • Abbiamo vissuto per anni con grandi monopoli pubblici che oggi sono monopoli privati.
  • I proprietari delle aziende sono anche proprietari delle banche che le finanziano e, allo stesso tempo, sono politici o membri delle istituzioni che dovrebbero regolamentare le loro stesse aziende, in un circolo vizioso senza soluzione di continuità che comprende anche tutti i mezzi di comunicazione di massa.
  • Le professioni sono regolate da ordini che tutelano solo gli interessi dei propri iscritti, vige un sistema corporativo che difende tutte le “caste” da ogni tentativo di liberalizzazione.
  • Tutto il pubblico impiego è soggiogato da logiche clientelari o familiari.
La libertà economica in Italia è solo una illusione di chi non vuole vedere la realtà per motivi strumentali (non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere!).

Ma analizzando gli indici dell'Heritage Foundation vengono chiaramente a galla i problemi del nostro paese che evidentemente sono più visibili a chi non ha fette di prosciutto sugli occhi:
  • Libertà di Impresa 76,8% - L'Italia è sopra la media mondiale in questo campo, anche se devono essere espletate mediamente ben 19 procedure burocratiche ed occorrono ben 243 giorni per potere ottenere una licenza.
  • Libertà di Commercio 81% - Le tariffe doganali sono nel complesso abbastanza contenute e questo è dovuto al fatto che la maggior parte del commercio estero avviene all'interno della Comunità Europea ed è dunque esente da tariffe e dazi.
  • Libertà Fiscale 54,3% - Le tasse sono molto alte rispetto agli altri paesi sviluppati. La media delle tasse sul reddito è del 43%, mentre le tasse sulle imprese sono al 33%. Il rapporto tra la tassazione ed il PIL è del 40,4%. Non è difficile capire perché le alte tasse siano uno dei maggiori problemi dell'economia italiana.
  • Ingerenza del Governo sull'Economia 29,4% - Lo Stato è ancora troppo presente nell'economia italiana, le spese pubbliche rappresentano il 48,5% del PIL e il debito pubblico è percentualmente uno dei più alti al mondo. La presenza dello Stato è dunque un grande freno alla libertà economica e le liberalizzazioni, insieme alla diminuzione del debito pubblico, sono gli obbiettivi a cui dovrebbe tendere il governo (qualsiasi governo).
  • Corruzione 43% - Nonostante Mani Pulite, l'Italia è ancora uno degli stati con più alti tassi di corruzione al mondo. In questa classifica siamo solo 45esimi e non è difficile capirlo viste le recenti telefonate di lady Mastella o di Berlusconi all'amico Saccà.
  • Tutela del Diritto di Proprietà 50% - Secondo l'Heritage Foundation la proprietà è abbastanza tutelata dalle leggi, ma il vero problema è dato dall'eccessiva durata dei processi che disincentivano le aziende ad investire in Italia. Inoltre nello studio si afferma che i giudici sono orientati politicamente (strano).
  • Libertà Finanziaria 60% - Il mercato finanziario è relativamente libero anche se il mercato dei capitali è ancora sottosviluppato (forse a causa della piccola o media grandezza delle imprese italiane).
  • Libertà del Mercato del Lavoro 73,5% - Il nostro mercato del lavoro è considerato abbastanza flessibile. C'è un elevato costo non-salariale del lavoro (cuneo fiscale) ed una certa rigidità degli orari di lavoro.

In definitiva i problemi più grandi sono la presenza pachidermica dello Stato nell'economia, la corruzione e l'elevata pressione fiscale.

Ma cosa bisognerebbe fare per ottenere una vera liberalizzazione dell'economia?

In Francia, il presidente Sarkozy ha dato alla commissione Attali (di cui hanno fatto parte anche due italiani, Mario Monti e Franco Bassanini) il compito di delineare le iniziative che dovrebbe intraprendere il governo al fine di rendere più libera l'economia.

La commissione ha indicato le sue soluzioni ed ha anche elencato quali sarebbero i risultati se il governo francese intraprendesse la sua linea:

  • incremento di almeno un punto annuo della crescita economica.
  • diminuzione della disoccupazione dal 7.9% al 5%.
  • diminuzione del numero dei poveri da 7 a 3 milioni.
  • diminuzione del divario tra l'aspettativa di vita dei ricchi e dei poveri.
  • aumento del numero delle imprese nelle banlieu.
  • diminuzione del debito pubblico al 50% del PIL

Sarebbero risultati eccezionali per l'economia francese se le previsioni degli economisti si rivelassero azzeccate!

Ma cosa bisognerebbe fare per liberalizzare l'economia italiana?

Certo le mie ricette non sono all'altezza di quelle proposte da grandi economisti come Attali e Mario Monti, ma i problemi italiani sono talmenti evidenti che anche un cieco potrebbe vederli!

Io dividerei queste iniziative in vari gruppi tutti funzionali, anche se in maniera diversa, ad una liberalizzazione economica ed ad una maggiore efficienza nel governo dei mercati.

  1. Limitazione dell'ingerenza dello Stato nell'economia: lo Stato deve finalmente cedere tutte le sue partecipazioni nelle aziende e lasciare finalmente decidere al mercato il destino delle imprese. Il compito dello Stato è quello di regolare la contingenza, non di supportare all'infinito aziende completamente fuori dal mercato come l'Alitalia. Lo Stato deve dunque uscire da settori determinanti come quello dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni in cui la sua presenza opprimente ha prodotto un sottosviluppo dell'Italia rispetto ai suoi competitor europei e mondiali. La vendita delle partecipazioni servirebbe inoltre a ridurre il debito pubblico.
  2. Diminuzione della Spesa pubblica: lo Stato spende troppo rispetto al PIL e la spesa eccessiva produce un deficit annuo che deve essere finanziato con l'elevata pressione fiscale. Siccome la pressione fiscale è arrivata ormai a livelli insostenibili, bisogna limitare la spesa dello Stato. Limitazione degli sprechi e taglio dei costi dell'amministrazione sono misure ormai improrogabili se si vuole risolvere il più grande problema dell'Italia: il debito pubblico che ci costa 70 miliardi di euro all'anno solo per il pagamento degli interessi.
  3. Riforma del pubblico impiego: è questo il vero settore in cui si annida l'inefficienza e la scarsa produttività. I salari non sono legati alla produttività, ma solo agli interessi elettorali contingenti. Questo stato di cose deve cambiare. Bisogna introdurre mobilità, bisogna legare i salari all'efficienza ed ai risultati ottenuti. Insieme ad una riforma è necessario un ridimensionamento del pubblico impiego, che appare assolutamente sproporzionato se paragonato agli apparati pubblici degli stati più liberali.
  4. Eliminazione dei monopoli e degli oligopoli che sono in mano allo Stato o che sono nati in seguito alle privatizzazioni effettuate negli scorsi anni: Autostrade e Telecom sono solo alcuni esempi in cui il passaggio di proprietà dallo Stato ai privati ha mantenuto delle posizioni monopolistiche senza aprire realmente al mercato.
  5. Eliminazione degli ordini professionali e liberalizzazione delle licenze.
  6. Abbassamento delle Tasse sul Lavoro e sulle Imprese.
  7. Norme Anti-Trust stringenti e con reali poteri sanzionatori delle autorità preposte.
  8. Riforme del Processo Civile e Penale che rendano certi i diritti e le pene in tempi ragionevoli (non calcolabili in decine di anni).
  9. Più sicurezza e maggiore lotta alla criminalità nelle parti del paese più afflitte dalle piaghe delle mafie, che limitano la crescita economica e disincentivano l'afflusso di capitali e gli investimenti nelle zone di Italia che avrebbero potenzialmente il più alto tasso di sviluppo economico.
  10. Investimenti infrastrutturali che rendano l'Italia più facilmente raggiungibile da uomini e mezzi e che favoriscano gli scambi interni e con l'estero.
  11. Politica energetica che favorisca il risparmio energetico ed al contempo incentivi la produzione di energia pulita e rinnovabile. A questo deve essere affiancato un piano che preveda il progressivo abbandono dei combustibili fossili ed un incremento della produzione autoctona (si dunque anche al nucleare) ed ad una differenziazione progressiva delle fonti di approvvigionamento. In questo modo l'economia italiana sarebbe meno soggetta alle fluttuazioni del prezzo di gas e petrolio e dunque molto più stabile.
  12. Riforma del sistema dell'informazione: in una moderna economia di mercato, avere una informazione plurale ed indipendente dal potere economico è essenziale per decidere dove indirizzare gli investimenti ed evitare casi come quello della Parmalat.
  13. Riforma del sistema bancario: è essenziale che le banche siano indipendenti dalle aziende che finanziano. In Italia questo non avviene e spesso le proprietà di banche e aziende sono nelle mani delle stesse persone con effetti deleteri per il libero mercato.
  14. Riforma della scuola che deve garantire un elevato standard di formazione in un mondo che si basa sulla concorrenza nella conoscenza. Quindi la preparazione degli studenti è essenziale per il mantenimento del livello di ricchezza di un paese. Investire in ricerca scientifica è inoltre necessario per avere sempre più produzioni di alto livello tecnologico in cui ci sono minori concorrenze di prezzo con i paesi emergenti.
  15. Riforme istituzionali e costituzionali che garantiscano maggiori poteri ai governi per dare risposte più forti e rapide ai problemi posti dalle crisi internazionali in un mondo ormai globalizzato.
  16. Lotta alla corruzione ed ai legami tra politica ed economia che prepongono gli interessi familiari e clientelari alla meritorietà.
  17. Lotta all'evasione ed all'elusione fiscale in tutte le sue forme (compresi i falsi in bilancio) con un inasprimento delle pene.
  18. Regolazione dei conflitti di interesse che limitano la libertà del mercato e che diminuiscono l'efficienza del pubblico impiego (per esempio la separazione delle carriere dei medici intra-moenia ed extra-moenia)

Premetto che io non sono favorevole al 100% di queste riforme, ma ho solamente elencato i cambiamenti che renderebbero più liberale l'economia italiana.

Se fosse infatti vero che una liberalizzazione economica darebbe all'Italia gli stessi benefici elencati per la Francia dalla commissione Attali, potremmo realmente ottenere uno sviluppo economico invertendo quel declino che sembra irreversibile.

Bisogna dire che le riforme ultra-liberiste hanno prodotto sviluppo economico, ma anche forti tensioni sociali. Stati come l'Inghilterra hanno dovuto sopportare riforme pesanti sotto il governo Tatcher, ma i benefici di queste riforme sono indubitabili. La stessa cosa vale per la Spagna con Aznar e Zapatero e per l'Irlanda, portata al terzo posto nella classifica dell'Heritage Foundation dai governi liberali degli ultimi anni.

I paesi come l'Italia, la Germania e la Francia, che hanno ritardato le riforme liberali, sono oggi in grossa difficoltà nella competizione dell'economia globale.

Questi dati storici sono inconfutabili, ora tocca ai nostri politici decidere quale strada intraprendere, ovvero se rimanere sulla linea conservatrice-statalista o intraprendere vere riforme liberali.

Si Può Fare!

E' ufficialmente iniziata la campagna elettorale per le elezioni politiche del 13-14 aprile.

Veltroni ha scelto Spello, una bellissima e storica località dell'Umbria per il suo discorso di apertura.
Una location sicuramente affascinante con il buon Walter in primo piano davanti ad una specie di presepe con alti cipressi sullo sfondo.

Il discorso di Veltroni è stato molto generico e valoriale, sicuramente non programmatico, ma attento soprattutto ad infondere fiducia nei suoi elettori ed ad attirare il consenso.

Veltroni è dato perdente in tutti i sondaggi, ma come Barack Obama, ha scelto un motto che dia coraggio: "si può fare!"

Si può fare è la sfida di Veltroni e del Partito Democratico contro chi non crede al coraggio del nuovo partito che ha scelto di correre da solo, invece di entrare nei soliti pasticci della politica dell'anti-berlusconismo e che ha innescato una ventata di innovazione nei decrepiti palazzi romani.

E' la sfida di un grande partito di centro-sinistra finalmente innovativo e riformatore che tronca i legami con l'eredità del comunismo e dell'anti-modernismo.

Un partito che sfida la destra sul suo terreno, ovvero quella novità, che Berlusconi aveva promesso nel 1994 e che in questi 15 anni gli italiani non hanno mai visto.

Un partito che vuole cambiare la politica eliminando i personalismi e ridando importanza alle idee.

Veltroni ha parlato di ottimismo nel futuro contro un declino in cui la politica ha sprofondato l'Italia negli anni della seconda repubblica, dopo le speranze di cambiamento derivate da Mani Pulite.

Ha parlato di ambientalismo del fare. Uno sviluppo non contro l'ambiente, ma neanche una difesa dell'ambiente che si esplica solo nel porre vincoli e veti ad ogni inizativa innovatrice (il riferimento alla politica dei Verdi è esplicita).

Ha parlato di puntare sul talento, di dare incentivi alla ricerca scientifica che deve superare gli steccati ideologici (ma qui bisognerebbe chiedere alla Binetti cosa ne pensa), di ritrovare il senso di grandezza e l'orgoglio del nostro paese.

Ha parlato di riforme costituzionali necessarie ad un buon funzionamento del meccanismo democratico, di ridurre la frammentazione dei partiti, di una sola Camera legislativa, di riduzione del numero dei parlamentari e dei costi della politica.

Ha parlato d una nuova politica che sia meno litigiosa e che unisca gli italiani invece che dividerli. Una politica che sia più onesta, che abbia il coraggio di fare scelte importanti e che sia capace di realizzare le riforme necessarie allo sviluppo del paese.

In definitiva un discorso abbastanza retorico, che chiaramente traccia a grandi linee lo sviluppo programmatico, ma che serve a dare fiducia in questo nuovo progetto che si confronta con la solita accozzaglia di partiti già visti in questi ultimi 15 anni.

Si può fare, bisogna crederci.

Credere nel progetto, credere nella sfida, credere nel leader.

Vai Walter, io ci credo!

10 febbraio 2008

Yes, He Can!










Obama ci crede, Obama può farcela e Obama è ormai il front runner dei democratici, dopo il successo elettorale di questo sabato in stati molto importanti come Washington (Seattle) sulla costa del Pacifico, come la Louisiana (New Orleans) nel profondo Sud ed in Nebraska, uno stato del mid-west agricolo.

Obama ha stravinto in tutti questi stati con percentuali bulgare:

  • nello stato di Washington ha ottenuto il 68% delle preferenze contro il misero 31% di Hillary.
  • in Louisiana ha preso il 68% delle preferenze contro il 32% della sua rivale.
  • in Nebraska si è "fermato" al 57% dei voti, mentre la signora Clinton non è andata oltre il 36%.

Una vittoria netta e schiacciante nelle proporzioni che ha prodotto un sostanziale pareggio nella conta dei rappresentanti alla convention democratica.

Obama ha infatti 1112 delegati contro i 1118 della sua rivale (fonte CBS politics), ma se Hillary può sempre contare sull'appoggio del partito e di molti super-delegati non eletti, Obama ha un trend sicuramente favorevole, che l'ha visto recuperare tutto lo svantaggio iniziale (pronosticato dai sondaggi) e proporsi ora come vero favorito alla corsa per la nomination democratica.

Un altro giorno molto importante sarà quello di martedì 12, che vedrà il voto di stati importanti come la Virgina, il Maryland ed il distretto di Columbia (praticamente la capitale federale, Washington).

Questi stati sono tutti situati attorno alla capitale americana e sono abbastanza legati alle tradizioni del Sud in cui Obama ha finora sempre trionfato (a parte la Florida).

Se ci dovesse essere un altro successo del senatore dell'Illinois, la corsa prenderebbe una fisionomia sempre più netta e potrebbe innescare l'effetto traino anche in stati in cui Obama è dato per sfavorito.

In definitiva, ora tocca ad Hillary fare qualche mossa per invertire questa tendenza che la vede in netta difficoltà.

Ora è lei l'underdog, quella che è costretta a rimontare e vedremo come si comporterà in questo suo nuovo ruolo.

Nel campo repubblicano, il voto di sabato ha dato ancora un risultato incerto.

L'abbandono di Romney, come previsto, ha fatto dirottare i voti del senatore mormone del Massachussets verso Huckabee che ha conquistato la vittoria in Kansas, con il 60% dei consensi, e in Louisiana, sul filo di lana con il 43% delle preferenze contro il 42% di McCain.

Molto strano è il risultato nello stato di Washington in cui McCain ha prevalso di una incollatura sul suo rivale, ottenendo il 26% dei consensi contro il 24% di Huckabee.

La stranezza sta nel fatto che Romney, ormai di fatto fuori dalla corsa, ha comunque ottenuto il 17% delle preferenze e che un altro incomodo, Ron Paul, ha preso ben il 21% dei voti.

La vittoria di McCain è stata dunque tutt'altro che netta e dovuta alla divisione dei voti tra i suoi contendenti.

McCain continua ad essere malvisto all'interno del suo stesso partito, soprattutto dall'estrema destra e dai partiti cristiani per le sue vedute troppo liberal su temi etici come i diritti degli omosessuali.

Come ho già ricordato, molti esponenti in vista dei Repubblicani hanno pubblicamente affermato che diserteranno le urne in caso di vittoria di McCain, o che addirittura sono pronti a sostenere il candidato democratico!

In più, la grande perplessità che aleggia intorno al senatore dell'Arizona, sta nel fatto che vince in stati in maggioranza democratica, mentre perde in quelli di fede più spiccatamente repubblicana.

Questo fatto potrebbe rappresentare un grosso handicap in una ipotetica corsa presidenziale dove si vince ottenendo la maggioranza stato per stato!

Per questo la nomination di McCain è tutt'altro che scontata, nonostante il numero di delegati ottenuti lo faccia considerare ancora il favorito numero uno.

Se però i suoi avversari riuscissero a coalizzarsi intorno alla figura di Huckabee anche le primarie repubblicane potrebbero rivelarsi incerte fino alla fine.

06 febbraio 2008

Super Tuesday: Vince l'Incertezza

Tutti gli osservatori e gli analisti attenti alle primarie americane aspettavano questo super-martedì elettorale per avere una chiara indicazione sui futuri contendenti alle elezioni presidenziali di novembre.

Invece dai dati emersi si evidenzia un solo vincitore, l'assoluta incertezza.


Per quel che riguarda il partito Democratico, il testa a testa tra Hillary e Obama è sempre più aperta dato che la signora Clinton ha trionfato negli stati più grandi ed importanti per numero di delegati (California, New York, Massachussets, Arizona, New Jersey), ma Barack ha conquistato ben 13 stati con maggioranze plebiscitarie (quasi tutti sopra il 60%) vincendo dal midwest (Colorado, Kansas, Missouri), al Nord-Ovest (Idaho, Utah, North Dakota), al Nord operaio (Illinois e Minnesota), al profondo Sud (Atlanta, Alabama) fino al New England (Connecticut).

Ancora una volta le spaccature all'interno del partito si sono evidenziate in maniera esplosiva: i giovani ed i media si schierano con Obama, l'establishment sta con Hillary.

In più si apre una vera questione razziale nelle minoranze: mentre l'elettorato bianco si divide abbastanza uniformemente, gli afro-americani votano Obama, mentre asiatici e ispanici, gruppo molto importante in stati decisivi come il Texas, hanno votato in massa per la Clinton a causa dell'antipatia razziale verso gli afro-americani.

A pesare sulla convention democratica, sarà anche il voto dei delegati non-eletti direttamente dal popolo, ma designati dal partito, i quali, per ora danno la maggioranza virtuale a Hillary Clinton.

Candidati - Totale Delegati Ottenuti - Super Delegati - Totale (2025 necessari per vincere)
Clinton 1029 211 1240
Obama 956 128 1184


Come si può facilmente vedere la corsa è sul filo di lana e probabilmente lo sarà fino all'ultimo voto.


La situazione è ancora più complessa tra i Repubblicani.

Nel Grand Old Party, la corsa sembrava limitata ad una sfida tra il front runner, John McCain, sostenuto anche dal ritirato Rudy Giuliani, e dallo sfidante più accreditato, Mitt Romney.

Dal super tuesday è invece tornata in auge la sfida di Huckabee, che ha preso i voti della destra evangelica del partito che non si riconosce negli altri due candidati.

Huckabee ha conquistato il profondo Sud vincendo in Georgia, Alabama, Tennesse, Arkansas e West Virginia, dove l'elettorato bianco e ultra conservatore ha un peso politico rilevante.

Romney è stata la vera delusione del martedì elettorale ed è riuscito a spuntarla solo nel Nord Ovest (Montana, North Dakota, Minnesota, Colorado, Utah) e in Massachussets.

McCain ha vinto negli stati più importanti (California, New York, Connecticut, Illinois, Missouri, Oklahoma,Arizona, New Jersey) ed ha già raggiunto più della metà dei delegati necessari al raggiungimento della nomination alla convention Repubblicana.

La vittoria è stata però più risicata del previsto e solo il computo dei delegati sta premiando McCain in maniera più che proporzionale alle prefernze ottenute.

Candidati - Totale Delegati Ottenuti (1191 necessari per vincere)
McCain 696
Huckabee 162
Romney 154


In definitiva il ritorno di Huckabee potrebbe favorire proprio McCain poiché l'elettorato più conservatore e di destra, che non sopporta il senatore dell'Arizona, disperde il suo voto tra due candidati invece di focalizzarsi su un solo cavallo, mentre la parte più progressista e centrista sta votando in massa per McCain.

Tutto resta da vedere dato che McCain non è ben visto dall'establishment del partito repubblicano, fino al punto che alcune voci influenti hanno già affermato di votare il candidato democratico piuttosto che il senatore dell'Arizona in un ipotetico scontro per la presidenza.


Tirando le somme di questo super martedì, si può affermare che l'incertezza regna dunque sovrana e dovremo aspettare altri stati chiave, tra cui il Texas, l'Ohio e la Pennsylvania per avere delle indicazioni più chiare su chi vincerà le nomination alla presidenza deglu USA.

04 febbraio 2008

La Favola dei Giganti

Questa è la favola dei New York Giants, campioni del Superbowl XLII.


C'era una volta la storia Cenerentola, Cinderella nella lingua di Albione, ovvero la storia di chi riesce a farcela contro tutti i pronostici, di chi sfida l'impossibile pensando che nulla sia impossibile, di chi sfida i migliori pensando di essere migliore.
I Giants erano la Cenerentola, la vittima designata al sacrificio sulla strada della stagione perfetta di una squadra come i New England Patriots, 3 volte campioni del mondo negli ultimi 6 anni, con il miglior quarterback, Tom Brady, il miglior ricevitore, Randy Moss, il miglior coach, Bill Belichick, il miglior record della lega, 18 vittorie e nessuna sconfitta prima del Superbowl.
I bookmakers davano favoriti i Patriots di 12-14 punti, uno dei maggiori margini di vantaggio nella storia del Superbowl.
I giornali stavano già pensando a come descrivere la seconda stagione perfetta nella storia della NFL dai tempi dei Dolphins del 1972.
I tifosi di Boston avevano già pronti i cartelli con il 19-0 e pregustavano l'ennesima sfilata tra le vie di Beantown (Boston).
Tutti però non avevano fatto i conti con i Road Warriors, i New York Giants, i quali, dopo la sconfitta nella regular season proprio contro i Patriots, hanno inanellato una serie di vittorie incredibile eliminando le tre squadre migliori della NFC prima di giungere al grande ballo, il Superbowl.
I Giants, quinti nel ranking della National Football Conference, sono partiti da Tampa Bay, nel caldo della Florida, per la prima gara di Play-off.
Eli Manning, il criticato quarterback dei Giants e Tom Coughlin, il loro capo allenatore, non avevano mai vinto una partita di post season nei due anni precedenti e quindi aleggiava un clima di sfiducia verso la franchigia della Grande Mela.
I Giants però espugnano Tampa in modo perentorio vincendo per 24-14 con una grande prestazione di Manning (20 su 27 per 185 yds, 2 TD e 0 int), di Bradshaw, un runninback piccoletto che si mette in mostra per la prima volta al grande pubblico e di Amani Toomer (7 ric per 74 yds e 1 TD).
Ma la vera protagonista dell'incontro è la difesa di Steve Spagnuolo, primo anno come defensive coordinator a NY.

La parte migliore di questa difesa è sicuramente il fronte a 4 formato con tre pass rushers come Strahan, Umeniyora e Tuck che hanno messo costantemente in difficoltà i qb avversari.

Dopo Tampa ai Giants toccavano i grandi rivali dei Dallas Cowboys di Tony Romo e Terrel Owens, che li avevano già ripassati per ben due volte in stagione regolare.

I Cowboys avevano il vantaggio di giocare in casa e nel primo tempo sembravano aver preso il controllo della partita, ma Eli Manning non si è dato per vinto finalizzando un drive nell'ultimo minuto del secondo quarto con un TD che ha portato NY al pareggio proprio prima di andare negli spogliatoi.

Al rientro in campo, Manning ed i Giants hanno preso il controllo della partita portando a casa la vittoria per 21-17.

I primi della NFC erano dunque battuti, Romo rispedito a casa dalla bella Simpson e i Giants incominciavano a far paura.

Davanti a loro, nella strada verso la finale, rimanevano i Green Bay Packer del mitico Brett Favre e la Frozen Tundra del Lambeau Field, ovvero lo stadio all'aperto della freddissima cittadina del Wisconsin.

Si gioca a -20, in un clima a cui i Packers sono avvezzi, mentre i Giants vengono dal caldo della Florida e dal Dome (stadio al coperto) di Dallas.

Ancora una volta NY è sfavorita, ma la difesa riesce a limitare Brett Favre e il gioco di corsa dei Packers, e si scatena Palxico Burress che diventa il bersaglio preferito di Manning con 11 ricezioni per 151 yds.

L'uomo decisivo è però il kicker dei Giants, Lawrence Tynes, che sbaglia due field goals, prima di centrare i pali da ben 47 yds nell'overtime.

I Giants vincono 23-20 e vengono ribattezzati Road Warriors, i guerrieri delle trasferte, pronti a sfidare i predestinati di Boston nel XLII Superbowl.


Il Superbowl si gioca a Glendale, un sobborgo di Phoenix, nel bel mezzo del deserto dell'Arizona a mille miglia dal freddo di Green Bay.

I Giants vincono il sorteggio e decidono di attaccare per primi mettendo insieme un drive da quasi 10 minuti, record per un Superbowl, che però finalizzano solo con 3 punti di un field goal di Tynes. NYG-NEP 3-0

Brady ed i Patriots scendono in campo agguerriti e decisi, e con un drive quesi perfetto, grazie anche ad una ingenua interferenza nella end-zone, segnano un Touch Down con il loro running back, Lawrence Maroney, che ribalta il punteggio. NYG-NEP 3-7

Da qui in poi salgono in cattedra le difese. La linea difensiva dei Giants non da respiro a Brady, mentre i Patriots contengono bene il gioco di corse di Jacobs e Bradshaw e Manning non sembra in grado di girare la partita anche a causa delle molte palle perse dai suoi ricevitori.

Si va al riposo sul 7-3 per New England, secondo punteggio più basso nella storia più che quarantennale del Superbowl, e neanche nel terzo quarto il punteggio si sblocca.

Il quarto periodo è pirotecnico: i Giants si svegliano con un passaggio di Manning per il Tight End, Boss, che guadagna ben 45 yds e porta NY nel campo avversario. Ci pensano poi le corse di Bradshaw e Steve Smith a portare i G-Men a 5 yds dalla End Zone dei Patriots.

Manning lancia un siluro per Tyree che segna il suo primo TD della stagione proprio nell'occasione più importante.

I Giants passano in vantaggio per 10-7 e danno la palla a Brady e Moss.

A 7:54 dal termine New England si trova sulle proprie 20 yds. Brady incomincia a trovare il ritmo giusto e orchestra un drive perfetto che termina in un TD pass per Randy Moss per il 14-10 dei Patriots.

La partita sembra conclusa perché rimangono solo 2:54 secondi sul cronometro ed i Giants si devono ripartire dalle loro 17 yds.

Eli Manning si trova sulle sue spalle tutto il peso della responsabilità dato che il gioco di corse è ormai inutilizzabile vista la scarsità di tempo sul cronometro.

Il qb di New York incomincia il suo lavoro con due passaggi per Amani Toomer ed una corsa personale che lo porta sulle 44 yds, su un 3 down e 5 ad 1 minuto e 15 secondi dalla fine.

Qua accade il miracolo, il gioco più bello della partita e forse degli ultimi anni.

La linea di attacco dei Giants collassa e due Patriots mettono le mani addosso a Manning. Sembra un sack, ma Eli si divincola in modo incredibile e spara una palla nel mezzo verso Tyree il quale, marcato a uomo da Harrison, riesce a catturare la palla stringendola sul casco!



Dopo il miracolo duplice di Manning e Tyree i Giants iniziano a crederci: Steve Smith chiude un down portando la palla a sole 13 yds dalla linea di meta.

Mancano 39 secondi ma i Giants hanno 4 tentativi per chiudere i conti.

Basta però una finta perfetta di Plaxico Burress ed un lancio morbido di Manning a decidere il match ed a far gridare di gioia i tifosi newyorchesi.



New York si porta sul 17-14, ma 35 secondi possono essere sufficienti a Brady e compagni per tentare almeno il field goal del pareggio.

Brady prova 4 passaggi profondi, ma la difesa di NY è attentissima e non concede nulla.

I Giants hanno vinto il loro terzo titolo mondiale, a ben 17 anni dall'ultimo anello.


La favola dei Giganti è compiuta, gli underdogs hanno battuto le prime 3 squadre del rankings NFL e hanno conquistato un titolo meritatissimo e ancor più bello perché imprevedibile anche solo un mese addietro.
Eli Manning è eletto Most Valuable Player e succede a suo fratello Peyton, MVP del Superbowl XLI.
Tom Coughlin, sempre messo sotto processo a NY e sempre con le valigie pronte, ha la sua rivincita e a 61 anni diventa il terzo coach più anziano a vincere la finalissima.
Ma una menzione la meritano anche Plaxico Burress, autore del TD decisivo, David Tyree, con la sua magnifica ricezione da circo, e la difesa immensa dei G-Men che è riuscita a mettere la museruola anche a Tom Brady dopo aver zittito Brett Favre e Tony Romo.
New York ha vinto, W New York, W i Road Warriors, W la favola che diventa realtà.
Purtroppo ci toccherà aspettare settembre per tornare ad ammirare lo splendido spettacolo del football americano!

Ecco gli Highlights della partita:

03 febbraio 2008

Into The Wild



Non è la meta che conta, ma il viaggio.

Forse qui sta il senso della storia di Chris McCandless, un ragazzo appena laureato e di "buona famiglia" che sceglie di rompere gli schemi di una vita "normale", con un futuro già scritto, per iniziare un viaggio verso l'ignoto con una sola meta: l'Alaska.

In realtà l'unico scopo di Chris è quello di non ripercorrere i passi compiuti dai suoi genitori, che dietro una maschera di ricchezza, benessere e normalità nascondono una storia di falsità, violenza, indifferenza e cinismo.

Chris abbandona il suo mondo e la sua identità per sfuggire agli orrori familiari, pensando che solo la fuga, la solitudine ed il contatto con la natura incontaminata possano dargli la felicità.

Durante il suo viaggio si ritrova però a contatto con delle persone che per lui si rivelano delle vere famiglie e si ritrova a dover fronteggiare l'amore.

Nella sua cocciuta ricerca della solitudine ed a causa della sua paura di ripercorrere i binari dei suoi genitori, Chris, o Alex Super Tramper (il suo nuovo nome di fantasia) rinucia ad ogni contatto umano fino a raggiungere una valle solitaria nel bel mezzo di una catena montuosa nel cuore dell'Alaska.

In questo luogo bellissimo, incontaminato ma difficile da domare, Chris crede di aver trovato la felicità, ma la natura ha il sopravvento su di lui e purtroppo, solo ed in fin di vita, capisce la più dolorosa delle verità e cioè che la felicità ha un senso solo se condivisa con gli altri.

Una fine tragica per una persona che credeva di trovare la felicità solamente nel solitario contatto con la natura.

Sean Penn ci racconta la storia vera di una persona, ma nel farlo ci mostra tutte le facce di una America bellissima, con paesaggi da sogno, con deserti, fiumi, l'Oceano, le montagne, ma anche dalle molte facce contrastanti: la ricchezza e la povertà, l'ipocrisia e la sincerità, le grandi città e le sconfinate campagne, tutte le facce di una unica grande nazione.

Una storia sicuramente affascinante e trascinante, ma che lascia in bocca l'amarezza di una sconfitta.

Ma in fondo non è la meta che conta, ma il viaggio.

Bravo Penn, un film che vale la pena di essere visto.

Bellisima anche la colonna sonora, assolutamente di atmosfera ed adeguata alla stupenda fotografia.