12 febbraio 2008

Liberalizzazione Economica e Sviluppo.

Recentemente ha suscitato molto scalpore l'uscita di uno studio della Heritage Foundation sulla libertà economica nei vari paesi del mondo.

Dallo studio emerge una vera e propria classifica delle nazioni stilata in base all'"Indice di Libertà Economica" che tiene conto di vari parametri oggettivamente confrontabili.

La cosa che ha sorpreso e sconcertato molti (ingenui) è il fatto che l'Italia sia solo in 64esima posizione su 163 nazioni prese in considerazione; 29esima su 41 in Europa e dietro a stati come la Mongolia (63esima), l'Uganda (52), Israele (46), Corea del Sud (41).

Effettivamente non c'è assolutamente nulla di sorprendente nella posizione dell'Italia, visto che nel nostro paese la libertà economica è ai minimi termini:
  • Abbiamo vissuto per anni con grandi monopoli pubblici che oggi sono monopoli privati.
  • I proprietari delle aziende sono anche proprietari delle banche che le finanziano e, allo stesso tempo, sono politici o membri delle istituzioni che dovrebbero regolamentare le loro stesse aziende, in un circolo vizioso senza soluzione di continuità che comprende anche tutti i mezzi di comunicazione di massa.
  • Le professioni sono regolate da ordini che tutelano solo gli interessi dei propri iscritti, vige un sistema corporativo che difende tutte le “caste” da ogni tentativo di liberalizzazione.
  • Tutto il pubblico impiego è soggiogato da logiche clientelari o familiari.
La libertà economica in Italia è solo una illusione di chi non vuole vedere la realtà per motivi strumentali (non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere!).

Ma analizzando gli indici dell'Heritage Foundation vengono chiaramente a galla i problemi del nostro paese che evidentemente sono più visibili a chi non ha fette di prosciutto sugli occhi:
  • Libertà di Impresa 76,8% - L'Italia è sopra la media mondiale in questo campo, anche se devono essere espletate mediamente ben 19 procedure burocratiche ed occorrono ben 243 giorni per potere ottenere una licenza.
  • Libertà di Commercio 81% - Le tariffe doganali sono nel complesso abbastanza contenute e questo è dovuto al fatto che la maggior parte del commercio estero avviene all'interno della Comunità Europea ed è dunque esente da tariffe e dazi.
  • Libertà Fiscale 54,3% - Le tasse sono molto alte rispetto agli altri paesi sviluppati. La media delle tasse sul reddito è del 43%, mentre le tasse sulle imprese sono al 33%. Il rapporto tra la tassazione ed il PIL è del 40,4%. Non è difficile capire perché le alte tasse siano uno dei maggiori problemi dell'economia italiana.
  • Ingerenza del Governo sull'Economia 29,4% - Lo Stato è ancora troppo presente nell'economia italiana, le spese pubbliche rappresentano il 48,5% del PIL e il debito pubblico è percentualmente uno dei più alti al mondo. La presenza dello Stato è dunque un grande freno alla libertà economica e le liberalizzazioni, insieme alla diminuzione del debito pubblico, sono gli obbiettivi a cui dovrebbe tendere il governo (qualsiasi governo).
  • Corruzione 43% - Nonostante Mani Pulite, l'Italia è ancora uno degli stati con più alti tassi di corruzione al mondo. In questa classifica siamo solo 45esimi e non è difficile capirlo viste le recenti telefonate di lady Mastella o di Berlusconi all'amico Saccà.
  • Tutela del Diritto di Proprietà 50% - Secondo l'Heritage Foundation la proprietà è abbastanza tutelata dalle leggi, ma il vero problema è dato dall'eccessiva durata dei processi che disincentivano le aziende ad investire in Italia. Inoltre nello studio si afferma che i giudici sono orientati politicamente (strano).
  • Libertà Finanziaria 60% - Il mercato finanziario è relativamente libero anche se il mercato dei capitali è ancora sottosviluppato (forse a causa della piccola o media grandezza delle imprese italiane).
  • Libertà del Mercato del Lavoro 73,5% - Il nostro mercato del lavoro è considerato abbastanza flessibile. C'è un elevato costo non-salariale del lavoro (cuneo fiscale) ed una certa rigidità degli orari di lavoro.

In definitiva i problemi più grandi sono la presenza pachidermica dello Stato nell'economia, la corruzione e l'elevata pressione fiscale.

Ma cosa bisognerebbe fare per ottenere una vera liberalizzazione dell'economia?

In Francia, il presidente Sarkozy ha dato alla commissione Attali (di cui hanno fatto parte anche due italiani, Mario Monti e Franco Bassanini) il compito di delineare le iniziative che dovrebbe intraprendere il governo al fine di rendere più libera l'economia.

La commissione ha indicato le sue soluzioni ed ha anche elencato quali sarebbero i risultati se il governo francese intraprendesse la sua linea:

  • incremento di almeno un punto annuo della crescita economica.
  • diminuzione della disoccupazione dal 7.9% al 5%.
  • diminuzione del numero dei poveri da 7 a 3 milioni.
  • diminuzione del divario tra l'aspettativa di vita dei ricchi e dei poveri.
  • aumento del numero delle imprese nelle banlieu.
  • diminuzione del debito pubblico al 50% del PIL

Sarebbero risultati eccezionali per l'economia francese se le previsioni degli economisti si rivelassero azzeccate!

Ma cosa bisognerebbe fare per liberalizzare l'economia italiana?

Certo le mie ricette non sono all'altezza di quelle proposte da grandi economisti come Attali e Mario Monti, ma i problemi italiani sono talmenti evidenti che anche un cieco potrebbe vederli!

Io dividerei queste iniziative in vari gruppi tutti funzionali, anche se in maniera diversa, ad una liberalizzazione economica ed ad una maggiore efficienza nel governo dei mercati.

  1. Limitazione dell'ingerenza dello Stato nell'economia: lo Stato deve finalmente cedere tutte le sue partecipazioni nelle aziende e lasciare finalmente decidere al mercato il destino delle imprese. Il compito dello Stato è quello di regolare la contingenza, non di supportare all'infinito aziende completamente fuori dal mercato come l'Alitalia. Lo Stato deve dunque uscire da settori determinanti come quello dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni in cui la sua presenza opprimente ha prodotto un sottosviluppo dell'Italia rispetto ai suoi competitor europei e mondiali. La vendita delle partecipazioni servirebbe inoltre a ridurre il debito pubblico.
  2. Diminuzione della Spesa pubblica: lo Stato spende troppo rispetto al PIL e la spesa eccessiva produce un deficit annuo che deve essere finanziato con l'elevata pressione fiscale. Siccome la pressione fiscale è arrivata ormai a livelli insostenibili, bisogna limitare la spesa dello Stato. Limitazione degli sprechi e taglio dei costi dell'amministrazione sono misure ormai improrogabili se si vuole risolvere il più grande problema dell'Italia: il debito pubblico che ci costa 70 miliardi di euro all'anno solo per il pagamento degli interessi.
  3. Riforma del pubblico impiego: è questo il vero settore in cui si annida l'inefficienza e la scarsa produttività. I salari non sono legati alla produttività, ma solo agli interessi elettorali contingenti. Questo stato di cose deve cambiare. Bisogna introdurre mobilità, bisogna legare i salari all'efficienza ed ai risultati ottenuti. Insieme ad una riforma è necessario un ridimensionamento del pubblico impiego, che appare assolutamente sproporzionato se paragonato agli apparati pubblici degli stati più liberali.
  4. Eliminazione dei monopoli e degli oligopoli che sono in mano allo Stato o che sono nati in seguito alle privatizzazioni effettuate negli scorsi anni: Autostrade e Telecom sono solo alcuni esempi in cui il passaggio di proprietà dallo Stato ai privati ha mantenuto delle posizioni monopolistiche senza aprire realmente al mercato.
  5. Eliminazione degli ordini professionali e liberalizzazione delle licenze.
  6. Abbassamento delle Tasse sul Lavoro e sulle Imprese.
  7. Norme Anti-Trust stringenti e con reali poteri sanzionatori delle autorità preposte.
  8. Riforme del Processo Civile e Penale che rendano certi i diritti e le pene in tempi ragionevoli (non calcolabili in decine di anni).
  9. Più sicurezza e maggiore lotta alla criminalità nelle parti del paese più afflitte dalle piaghe delle mafie, che limitano la crescita economica e disincentivano l'afflusso di capitali e gli investimenti nelle zone di Italia che avrebbero potenzialmente il più alto tasso di sviluppo economico.
  10. Investimenti infrastrutturali che rendano l'Italia più facilmente raggiungibile da uomini e mezzi e che favoriscano gli scambi interni e con l'estero.
  11. Politica energetica che favorisca il risparmio energetico ed al contempo incentivi la produzione di energia pulita e rinnovabile. A questo deve essere affiancato un piano che preveda il progressivo abbandono dei combustibili fossili ed un incremento della produzione autoctona (si dunque anche al nucleare) ed ad una differenziazione progressiva delle fonti di approvvigionamento. In questo modo l'economia italiana sarebbe meno soggetta alle fluttuazioni del prezzo di gas e petrolio e dunque molto più stabile.
  12. Riforma del sistema dell'informazione: in una moderna economia di mercato, avere una informazione plurale ed indipendente dal potere economico è essenziale per decidere dove indirizzare gli investimenti ed evitare casi come quello della Parmalat.
  13. Riforma del sistema bancario: è essenziale che le banche siano indipendenti dalle aziende che finanziano. In Italia questo non avviene e spesso le proprietà di banche e aziende sono nelle mani delle stesse persone con effetti deleteri per il libero mercato.
  14. Riforma della scuola che deve garantire un elevato standard di formazione in un mondo che si basa sulla concorrenza nella conoscenza. Quindi la preparazione degli studenti è essenziale per il mantenimento del livello di ricchezza di un paese. Investire in ricerca scientifica è inoltre necessario per avere sempre più produzioni di alto livello tecnologico in cui ci sono minori concorrenze di prezzo con i paesi emergenti.
  15. Riforme istituzionali e costituzionali che garantiscano maggiori poteri ai governi per dare risposte più forti e rapide ai problemi posti dalle crisi internazionali in un mondo ormai globalizzato.
  16. Lotta alla corruzione ed ai legami tra politica ed economia che prepongono gli interessi familiari e clientelari alla meritorietà.
  17. Lotta all'evasione ed all'elusione fiscale in tutte le sue forme (compresi i falsi in bilancio) con un inasprimento delle pene.
  18. Regolazione dei conflitti di interesse che limitano la libertà del mercato e che diminuiscono l'efficienza del pubblico impiego (per esempio la separazione delle carriere dei medici intra-moenia ed extra-moenia)

Premetto che io non sono favorevole al 100% di queste riforme, ma ho solamente elencato i cambiamenti che renderebbero più liberale l'economia italiana.

Se fosse infatti vero che una liberalizzazione economica darebbe all'Italia gli stessi benefici elencati per la Francia dalla commissione Attali, potremmo realmente ottenere uno sviluppo economico invertendo quel declino che sembra irreversibile.

Bisogna dire che le riforme ultra-liberiste hanno prodotto sviluppo economico, ma anche forti tensioni sociali. Stati come l'Inghilterra hanno dovuto sopportare riforme pesanti sotto il governo Tatcher, ma i benefici di queste riforme sono indubitabili. La stessa cosa vale per la Spagna con Aznar e Zapatero e per l'Irlanda, portata al terzo posto nella classifica dell'Heritage Foundation dai governi liberali degli ultimi anni.

I paesi come l'Italia, la Germania e la Francia, che hanno ritardato le riforme liberali, sono oggi in grossa difficoltà nella competizione dell'economia globale.

Questi dati storici sono inconfutabili, ora tocca ai nostri politici decidere quale strada intraprendere, ovvero se rimanere sulla linea conservatrice-statalista o intraprendere vere riforme liberali.

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